
Argomenti
Ci sono argomenti importanti per la filosofia rock. Qui ne citiamo alcuni da intendere come coordinate di riferimento. Da tenere presente: in filosofia, ogni parola può avere accezioni differenti passando da autore ad autore. Il bello (ma anche una delle difficoltà) della filosofia è proprio la libertà di interpretare e valutare le cose del mondo (e le parole usate per indicarle), talvolta rompendo schemi lungamente consolidati, forzando la semantica e infrangendo consuetudini linguistiche.
CONSENSUS
Il concetto qui associato al termine latino “consensus” è quello di “accettazione” (inglese: “acceptance”).
Fra gli argomenti di una solida filosofia di vita, l’accettazione è importante, ma deve essere chiarita bene a scanso di equivoci. Non pare, infatti, di ravvisare in Socrate (così come negli stoici successivi) una tendenza ad accettare remissivamente le cose come stanno. Anzi, il pensiero filosofico è per sua essenza “critico” e nasce proprio in opposizione alle convenzioni più banali e superficiali. Pertanto, occorre interpretare il concetto di “consensus” non come omologazione e conformismo (atteggiamenti avversati con fierezza anche dal rock autentico). Non si tratta nemmeno di una condotta passiva, arrendevole e supina dinanzi alle faccende del mondo. Si tratta, invece, di una sorta di “accettazione attiva”, consapevole, assertiva.
L’atteggiamento del “consensus” scaturisce dalla consapevolezza dei limiti umani dinanzi alla potenza del destino, della natura, di Dio, del fluire degli eventi. Al cospetto del poderoso e inarrestabile divenire delle cose, è palese l’impossibilità di modificare o determinare (da parte umana) un gran numero di faccende. Perciò, è solo un semplicissimo buonsenso a suggerire la concentrazione delle limitate risorse umane su ciò di cui si è (almeno un po’) in controllo o di cui è possibile assumere il controllo.
Accettazione stoica
Prendiamo, per esempio, la filosofia stoica, quindi non certo una filosofia da rammolliti, indolenti o neghittosi. Essa parte proprio dal presupposto di una scarsa influenza degli esseri umani sulla maggior parte degli eventi (dalle burrasche meteorologiche alle malattie, dai terremoti ai colpi di fortuna) in cui sono in gioco forze maggiori. A fronte di questa inevitabilità delle cose del mondo, gli umani, invece, possono esercitare un potere notevole sui propri stati d’animo, sentimenti, reazioni emotive, giudizi. Naturalmente, questo dominio sulla “interiorità” è in gran parte da conquistare tramite un articolato processo di crescente consapevolezza e di addestramento (“askesis“).
Allenare l’accettazione
L’operazione conducente all’autocontrollo è lunga perché si parte da una posizione umana di inesistente padronanza dei turbamenti dell’anima. Prima d’un percorso di crescita interiore, si è prevalentemente sopraffatti e dominati dalla propria sfera emozionale. Per esempio, si scoppia a piangere senza nemmeno sapere perché. E, soprattutto, si piange essendo incapaci di smettere. Malgrado ciò, è sufficiente riflettere sull’origine interiore (quindi “personale”) d’ogni passione per comprendere la possibilità (almeno teorica) di limitare, controllare o addirittura capovolgere le proprie risposte emotive interiori. Se lo sconforto è mio, cioè nasce dentro di me e si sviluppa dentro di me, allora ne consegue il mio potere di agire su di esso. Magari all’inizio del training riuscirò solo a contenere l’amarezza (o qualsiasi altro feeling), evitando una sua fastidiosa esondazione nell’anima. Poi, con il tempo, potrò diventare capace addirittura di trasformare la tristezza (o qualsiasi altra emozione) in allegria o serenità.
Lo stesso discorso vale per i pregiudizi, le paure, le debolezze o anche per gli eccessi di autostima, presunzione, tracotanza e vanità.
Di certo, alcune modificazioni dell’umore sono più facili da elaborare e gestire rispetto ad altre. La nostra personale esperienza la dice lunga su quanto sia complicato frenare la rabbia, ad esempio. Tuttavia, la malinconia e la rabbia (oppure l’entusiasmo e l’esaltazione) sono tutte condizioni “interne” (mentre una burrasca meteorologica è “esterna”). Siamo noi a ingannarci quando attribuiamo a fattori esteriori l’origine di nostri stati d’animo. Siamo noi a sbagliarci quando diciamo <sono triste (fatto “interno”) a causa della morte di una persona cara (fatto “esterno”)>. Infatti, l’evento luttuoso certamente è spiacevole, eppure la reazione a esso è tutta nostra, ricade nel nostro perimetro, nella nostra psiche, quindi è – teoricamente – controllabile.
Accettazione intelligente
A questo punto, però, è necessario introdurre una sorta di alert: si eviti di intraprendere il percorso verso l’autocontrollo adottando atteggiamenti “muscolari” o persino “agonistici”. Pretendere, in poco tempo, di annientare le proprie risposte emozionali potrebbe, per colmo dei colmi, creare altri elementi passionali spuri (di tipo collaterale), a loro volta di ben difficile gestione. Insomma, solo per fare un esempio un po’ paradossale, ci si potrebbe arrabbiare per non riuscire a evitare di arrabbiarsi!
In altri termini, il percorso verso l’autocontrollo, richiede un sereno (e umile) spirito di accettazione (“consensus“), includendo l’accettazione di non riuscire (eventualmente) nell’impresa. Questa accettazione “di livello superiore” potrebbe, poi, quasi paradossalmente, aprire le porte, all’improvviso, a un avvicinamento al risultato desiderato (e non ottenuto) in partenza.
A proposito di accettazioni “di grado superiore”, pensiamo a Socrate quando accetta la condanna a morte impartitagli dal tribunale ateniese, nonostante le accuse contro di lui siano ingiuste e pretestuose. La accetta perché crede fermamente nel principio (nel quadro di una ‘società civile’) delle leggi, dell’autorità, dell’ordine. Perciò, Socrate comprende di non poter essere – proprio lui – a dare il cattivo esempio sfuggendo (magari con qualche furbesco espediente) alla pena capitale. Questa accettazione da parte di Socrate non è affatto arrendevolezza. Anzi, è come se egli prendesse in mano la situazione con tale assertività da farla propria, quasi trasformandola in un’autocondanna. Sarebbe stato molto più sottomesso se avesse implorato clemenza o se avesse adottato uno dei vari espedienti in uso all’epoca per farla franca.

Accettare ma non arrendersi
Cosa resta da fare, al cospetto del fiume impetuoso dell’esistenza? Dobbiamo incassare tutto e limitarci a non restarci male, a non precipitare nella disperazione? Non proprio. Se è consigliabile astenersi da lotte impari e quindi ridicole, è altrettanto consigliabile fare comunque qualche tentativo, almeno per dare al “fato” l’occasione (se esso vuole intervenire) di palesarsi a nostro favore. In altre parole, è perfettamente inutile nuotare come pazzi contro la corrente. Ci si stancherebbe mortalmente e il fiume vincerebbe in breve tempo. Semmai, si può provare a nuotare di traverso, di lato, oppure mettendosi nella posizione “del morto”. Evitando il conflitto diretto con la corrente, è sempre possibile dare qualche bracciata a destra e a manca, approfittando di un sussulto delle onde, di un piccolo vortice creato da uno scoglio o di un movimento di risacca. L’importante è non affaticarsi troppo, restare lucidi quanto basta e cogliere ogni occasione favorevole, anche improvvisa e insperata.
AFFECTUS
Il termine latino “affectus” è usato qui come corrispondente di “affetto” (inglese “feeling”) in rappresentanza di una intera gamma di termini correlati ai concetti di amore, passione, sentimento, attrazione, emozione, innamoramento, amicizia, eccetera.
Diamo ora qualche esempio della ricca articolazione linguistica con cui la lingua greca declina, nell’antichità, le numerose forme e sfumature di affetto esperite dagli esseri umani.
Eros (έρως)
Partiamo dal termine maggiormente noto e ampiamente presente anche nella lingua italiana: “eros“. Il termine indica la divinità greca della fertilità. Quindi, allorché viene trasposto in campo affettivo, ha i tratti di un affetto passionale e viscerale. Per la sua forza primigenia, tellurica, ancestrale, “eros” è anche particolarmente ingestibile, irrazionale e, pertanto, “pericoloso”. Nelle sue manifestazioni più potenti conduce alla follia. Nel mondo greco e romano antico diversi pensatori mettono in guardia sulle conseguenze nefaste di una emozione così travolgente. Si tratta di filosofi per i quali il raziocinio e il controllo di sé sono obbiettivi da perseguire per non farsi scombussolare dalle cose del mondo. “Eros“, in quanto forza d’amore in grado di scardinare ogni autocontrollo deve, quindi, essere conosciuto e tenuto a bada.
Philia (φιλία)
Anche il termine “philia” è ben presente nel nostro linguaggio contemporaneo, stavolta in formule composte, come nelle parole bibliofilia (amore per i libri), cinefilia (amore per il cinema) e zoofilia (amore per gli animali). Già dagli esempi riportati, si evince una forma di trasporto piuttosto vincolante e talvolta totalizzante. Tuttavia, qui manca la componente virulenta di “eros“. Il concetto di “philia” si usa anche nella sfera dell’affetto amicale. C’è in questa parola un’idea di condivisione solidale per cui essa può riguardare anche commilitoni impegnati, in comune, in una impresa militare.
Agape (αγάπη)
Passiamo a un tipo di amore assoluto, elevato, soprasensibile: “agape“. Siamo in presenza di una nozione più ampia e trascendentale rispetto ai più comuni affetti terreni. Infatti, “agape” è anche l’amore di Dio, una forza cosmica, una forma di compenetrazione smisurata e disinteressata. Si colloca oltre le ordinarie possibilità umane e, per questo motivo, il termine beneficia di un’ampia utilizzazione in ambito teologico. In un certo senso, siamo all’opposto di “eros” con i suoi capricci, la sua volubilità e la sua vulnerabilità. Nella dimensione di “agape” c’è pienezza serena e stabile, accompagnata da un senso di completo appagamento (non per soddisfazione ma per assenza di aspettative e di necessità di corresponsione).
Storge (στοργή)
Sul piano dell’affetto parentale si colloca il termine “storge“. Il suo riferimento principale è l’affetto nei confronti di familiari e parenti. La caratteristica prevalente in questa forma di amore è la tenerezza. Perciò, si tratta del trasporto emotivo nei confronti di una figlia, di una madre, di un fratello o di un padre. Nei confronti di questi “affetti” il sentimento non è facile a consumarsi. Nonostante le avversità e gli inevitabili litigi, “storge” perdura nel tempo e ricompone le relazioni parentali in virtù della sua dolcezza.
Philautia (φιλαυτία)
Uno dei cardini della filosofia iniziata da Socrate è la “epimeleia heautou” (cura di sè). Si tratta della necessità di fare filosofia per indagare con mente aperta la natura del mondo e di sé stessi. Sul piano personale, è un atteggiamento anticonvenzionale volto a scoprire la propria più naturale vocazione per realizzarla nel corso della vita, così dando compimento a un progetto esistenziale congenito. Il termine “philautia” non deve essere confuso con la molto più complessa e articolata cura di sé. La “philautia” è amore per sé stessi, giammai da confondere con qualsiasi forma di egolatria, intendendo quest’ultima come culto esasperato di sé stessi (con forti connotazioni egotiche e autoreferenziali). La dimensione più giusta per interpretare la “philautia” è quella d’un sano amor proprio, costituito da giuste proporzioni di fiducia in sé stessi e di autostima, ma privo d’ogni sopravvalutazione e di presuntuosa chiusura agli altri.
Pragma (πρᾶγμα)
L’uso del termine “pragma” in campo affettivo si posiziona in una dimensione di concretezza e di praticità (come suggerisce l’impiego della parola “pragmatico” anche ai giorni nostri). Si tratta di un impegno il cui asse di riferimento è un saggio ed equilibrato buon senso. L’impegno di “pragma“, pertanto, non appare vincolato alla necessità d’una corresponsione. Quando la passione si estingue e anche la sintonia si usura, la componente affettiva di una persona verso un’altra assume connotati ben diversi e può trasformarsi in un atteggiamento di benevolenza a cui vengono sottratte più radicali aspettative. Avvertire di dover sostenere una persona a noi vicina in un momento di sua difficoltà (pur in mancanza di amore vero e proprio) oppure decidere di proseguire un cammino di condivisione in vecchiaia (pur essendo venuti meno presupposti più intensi e sentiti) può ricondursi alla nozione di “pragma“.
Mania (μανία)
Ci sono casi in cui l’amore assume gli attributi di una ossessione e di una “mania“. Quando ciò accade, si è in presenza di un affetto malsano, possessivo, incontrollabile. La dimensione della reciprocità viene meno per lasciare campo libero alla paranoia e al chiodo fisso. Di certo, è una forza ed è anche dirompente, ma in questa forza non ci sono proprietà da lodare e da stimare. C’è soprattutto una ingovernabilità complessiva del soggetto nei riguardi di sé stesso e delle proprie pulsioni. In un certo senso, è proprio una forma di pazzia (“mania“) dove vengono meno anche regole civili e di convivenza oltre a quelle a cui ciascuno si dovrebbe volontariamente sottoporre sul piano etico ed esistenziale. VEDI ANCHE LA VOCE MANIA NELLA SEZIONE PAROLE G-O.
Charis (χάρις)
Nell’etimologia del termine “charis” si trovano idee di grazia, gentilezza e gratitudine. Difatti, in campo affettivo, la parola può essere ricondotta a un amore idilliaco costituito armoniosamente da elementi fisici, emozionali e spirituali. Il presupposto della reciprocità è di somma importanza all’interno di una dimensione di equilibri perfetti e, quindi, ideali. “Charis” esiste in un territorio fondamentalmente utopistico e diviene punto di riferimento quasi fiabesco e irraggiungibile, fornendo al contempo una serie di elementi romantici e narrativi. VEDI ANCHE LA VOCE CHARA NELLA SEZIONE PAROLE A-F.
Pothos (Πόθος)
Sono molto interessanti le pagine scritte dal filosofo e psicoanalista junghiano James Hillman sul tema del “pothos” (“Saggi sul puer”, Raffaello Cortina Editore, 1988). Pothos è uno dei fratelli di Eros ed è desiderio amoroso in forma struggente, inconsolabile, inappagabile. Una sorta di nostalgia, talvolta priva di oggetto concreto, come se si “bramasse la brama” e non qualcuno (o qualcosa) di reale da perseguire. E’ una ferita con cui si nasce ed essa risulta impossibile da sanare. Tuttavia, questa lacerazione dell’anima può rappresentare la strada (dolente) verso un altrove sempre ricollocabile più avanti dopo ogni effimero conseguimento di momentanei traguardi. Perciò, “pothos” alimenta viaggi d’avventura, ma anche viaggi immaginari dell’anima, cambiamenti epocali, vere e proprie conversioni e ribaltamenti esistenziali. Questo anelito durevolmente malinconico è ben noto nella Grecia antica dove viene onorato come spirito guida (“daimon“) a cui ergere statue e a cui tributare devozione.
Thelema (θέλημα)
Eccoci giunti a “thelema“, qui inteso come il piacere di fare qualcosa, come il desiderio di compiere un mestiere, come l’amore per un’attività, una professione, un arte. Il fatto di non avere come oggetto una persona non sminuisce questa forma di affettività, poiché essa diviene il motore propulsivo d’una immensa varietà di iniziative umane. Senza la spinta entusiasmante e vigorosa di “thelema“, Mozart non avrebbe composto le opere sublimi del suo repertorio musicale e, soprattutto – in disgrazia e malato -, non avrebbe avuto lo sprone a creare (sia pur senza poterla terminare) la Messa di requiem in Re minore K 626 – ASCOLTA SU YOUTUBE.
Himeros (ἵμερος)
Ecco un altro fratello di Eros. Figlio di Afrodite e Ares, Himeros è la personificazione di un amore traboccante, fatto di desiderio primitivo, animalesco, impulsivo. Pertanto, “himeros“, quale forma affettiva, cerca, con ardore, un soddisfacimento urgente, spesso a tutti i costi, conducendo il soggetto anche in prossimità della follia. L’elemento caratterizzante di questa emozione irruente è il “momento”. In “himeros” non c’è progetto, non c’è pazienza e non c’è – di conseguenza – la capacità di attendere e di costruire. “Himeros” è scatto, guizzo, capriccio, sangue in ebollizione, foga, predazione.
Anteros (αντέρως)
Ancora un fratello di Eros. Questo si chiama Anteros ed è la personificazione dell’amore corrisposto. Di conseguenza, la sua figura mitologica si applica in modo ottimale alle relazioni di reciprocità fra individui innamorati. Una leggenda pone il concetto di “anteros” in relazione necessaria con “eros“. La narrazione riferisce del fanciullo Eros in forti difficoltà nella sua crescita al punto da indurre la madre Afrodite a consultare la dea Temi dalla quale riceve il consiglio a generare immediatamente un fratello (Anteros) poiché solo con quest’ultimo Eros può crescere. Infatti, le cose vanno in questo modo. Ma quando Anteros si allontana da Eros quest’ultimo torna bambino. In altre parole, l’amore (quello rappresentato da Eros) cresce solo in una condizione di reciprocità.
AUCTORITAS
“Autorevolezza” è concetto assai affascinante e un po’ sfuggente. Si tratta di una qualità facile da individuare perché l’osservatore la avverte immediatamente in chi la possiede. A volte, basta incontrare per pochi istanti una persona e veder promanare da essa quella certa aura, quel certo influsso, quel certo magnetismo . Probabilmente la si nota con facilità perché è rara, dunque spicca nelle poche persone da cui si irradia. Più difficile è descrivere l’autorevolezza e analizzarla in dettaglio.
È difficile esprimere l’autorevolezza a parole perché è una combinazione di vari attributi concomitanti. Attributi correlati a una vasta gamma di atteggiamenti, comportamenti, personalità, postura, carattere.
In buona sostanza stiamo parlando di una forma di leadership molto spesso innata, di una disposizione d’animo in cui è presente un concetto simile al “carisma”, ma non coincidente. Nella nozione di “autorevolezza” sono compresi elementi quali la “determinazione”, la “rettitudine”, la “schiettezza”, la “fierezza” non necessariamente presenti nel “carisma”. Per esempio, un attore può essere molto carismatico, capace di conquistare attenzione e ascolto, seduttivo, ma magari inadatto a far seguire da altri le proprie direttive, a far eseguire dei compiti.
Un alto livello di sicurezza di sé è presente in tutte le persone dotate di autorevolezza. Infatti, la fiducia in sé stessi è rapidamente percepita dagli individui e li orienta ad avere fiducia in chi si presenti così solido e attendibile.
La maggior parte delle volte, l’autorevolezza non è qualcosa di cui i “portatori” siano pienamente consapevoli. In prevalenza,, le persone autorevoli prendono nota del loro status attraverso le reazioni degli altri di fronte a loro. Ad esempio, si rendono conto se gli altri tendono a chinare la testa o lo sguardo in loro presenza. Si rendono conto se gli interlocutori non osano interromperli mentre stanno parlando.
Una proprietà così forte e netta è difficile da nascondere anche da parte di coloro i quali desidererebbero, invano, apparire umili e ordinari.
L’autorevolezza è apprezzata nei maestri perché amplifica la loro credibilità e il loro potere d’influenza (scevro da manipolazioni e secondi fini). Questo stesso attributo è anche l’obiettivo da raggiungere per chi pratica la nostra filosofia.